Cordoglio per la scomparsa dell’amico Marcello Serretta

Con grande dolore, esprimiamo tutto il nostro cordoglio per la scomparsa del caro amico e candidato tradizionalpopolare, Marcello Serretta, lodato poeta e uomo di grande umanità, che con arte, affabilità e gentilezza si faceva apprezzare da chi ha avuto la gioia di conoscerlo. Ci mancherà sia l’artista che la persona. Alla sua famiglia porgiamo le nostre più sentite e sincere condoglianze.

iTradizionalpopolari

Articolo di Vito Mauro su Nino Aquila e la sua opera

 Di recente ho trascritto un intervento del dottor Nino Aquila, che aveva esposto in occasione di una ricorrenza in memoria del ciminnese professor Francesco Brancato, essendo stato il successore nella direzione del Museo del Risorgimento di Palermo.

Senza voler far torto a nessuno è stato l’intervento che ho riprodotto più velocemente, quello cui non era necessario fare aggiustamenti, perché con la sua voce tonda, chiara, precisa e riusciva a farsi seguire senza nessuna distrazione.

In quell’occasione il dottor Aquila, ha ricordato che annualmente si recava al cimitero di Ciminna per portare dei fiori a Ciccio Brancato, non è da tutti compiere azioni del genere, il dottor Aquila era un uomo di altri tempi, di quelli che oggi sono rari a incontrarsi.

Ho avuto la fortuna di consegnargli la pubblicazione in tempo affinché potesse gioirne.

Era un piacere colloquiare con il dottor Aquila, per la sua chiarezza espositiva, per il suo attivismo culturale.

In occasione di una mia visita, insieme al professore Tommaso Romano, in ospedale durante la sua degenza, ci diceva di suoi scritti pronti da pubblicare, non appena si sarebbe ripreso, sono convinto che provvederà il figlio a esaudire questo desiderio, che è un omaggio a Lui e alla cultura.

Una persona ordinata, attenta, scrupolosa e puntuale come pochi, fu Nino Aquila.

         Sempre disponibile a ogni richiesta di un suo intervento, sempre disposto a spostarsi pur di accontentare chi richiedeva una sua testimonianza. E aveva copiose memorie da raccontare per le sue molteplici passioni professionali e culturali. Lo faceva con piacere, con impegno, come un compito, come una missione culturale.

         Finché ci saranno persone, generose, oneste e gentili come il dottor Aquila, non dobbiamo disperare.

         Credo che gli amici e la città di Palermo non dimenticheranno il dottor Nino Aquila. Infatti, giorno 22 ottobre in occasione della presentazione di un suo libro postumo di poesie Luna nuova, la Sala Magna dello Steri era affollatissima.

L’evento coordinato con comprensibile emozione dal figlio Sergio, successore della grande eredità ricevuta, quella degli scritti, dei suoi pensieri, delle sue passioni e orgoglioso al contempo di aver avuto un padre grande e amoroso.

Aprendo gli interventi, il Magnifico Rettore, Prof. Roberto La Galla, ha affermato che «il dottor Aquila ha lasciato un’impronta che sarà certamente ricordata nel tempo. Una personalità con una signorilità naturale che ha avuto fino alla fine, accoppiata con un impegno civile, una capacità di analisi, un’intelligenza non comune, un ottimo radiologo, un fine poeta, un capace storico, caratteristiche riconosciute da tutti».

Il Magnifico Rettore, ha continuato dicendo che «figure come Nino Aquila ci mancano e ci mancheranno, in un periodo in cui tutto sembra impazzire, con il suo essere rimasto giovane anche da anziano, con la sua capacità, la sua curiosità per la cultura e per la gente, ci ha insegnato come si può essere cittadini e liberi». Ha terminato sostenendo che «oggi abbiamo bisogno di qualche Nino Aquila in più e qualche parolaio in meno».

A seguire, il Prof. Tommaso Romano, iniziando il suo intervento, evidenziando la difficoltà a nascondere l’emozione quando si parla di un Amico, ha affermato che «la poesia che ci consegna Nino Aquila è per sempre. La poesia di un uomo rinascimentale, con un fare per realizzare, per dare compiutezza. Egli fu rigoroso con se stesso, credeva nella poesia, con rispetto assoluto, come a un atto di sacralità».

Nino Aquila, ha continuato il prof. Romano, «aveva una capacità di dire con la parola la verità, mai stucchevole, mai abbarbicato al passato, ma sempre fedele alla tradizione con stile, con rigore, con garbo, con umiltà, con consapevolezza della vita. Amante della bellezza e della cultura ha coltivato un giardino che, anche per noi, resterà indelebile».

L’editore della casa editrice Kalos, Sicilia ha rilevato che Luna nuova è il primo libro di poesie che la casa editrice pubblica e questo «in considerazione della generosità culturale» del dottor Aquila.

Il Prof. Salvatore Lo Bue ha fatto risaltare come Nino Aquila «sia stata una delle poche persone che ha resistito alla città, che invece odia i suoi intellettuali e lui stesso ha vinto sulla sua città». Inoltre ha fatto emergere come Nino Aquila, «con la solennità del suo aspetto, nascondeva la sua malinconia e con la poesia riusciva a vedere oltre ciò che si vede normalmente, proprio come faceva da radiologo. Ha così raccontato la nostalgia delle cose perdute per sempre, la nostalgia di non poter tornare più indietro».

Ha concluso la presentazione del volume Luna nuova, il prof. Salvatore Di Marco, autore della prefazione, che ha rilevato come nella silloge di Aquila, «si trovano il suo passato, l’incontro con persone vicine, la madre cui fu radicalmente e profondamente legato e, a quasi novant’anni, ne parlava ancora con la tenerezza di un bambino. Ancora ricordando in versi l’amata sposa, e ne cogliamo il legame affettuoso con il figlio, vediamo i luoghi dell’infanzia, scorgiamo Palermo con i suoi profumi, ma scopriamo soprattutto la memoria».

Insomma, con il dottor Nino Aquila, abbiamo conosciuto un uomo, un intellettuale, un grande collezionista e storico della Filatelia di livello mondiale che, fra l’altro, con la storia dei francobolli dedicati a Palermo, con la monumentale storia del Teatro e con gli altri volumi editi da Thule, Bolaffi e Novecento resterà un alto interprete di uno stile, di una cultura, di un’epoca.

Vito Mauro

 

 

Perdere l’”identità” è perdere la faccia di Marcello Veneziani pubblicato oggi dal “Giornale”

marcello-veneziani-dio-patria-e-famiglia_a2_1_carosello_testata_hp_sezione.jpgPersona, comunità, politica e cultura devono avere un tratto distintivo. Lo insegnava Aristotele ma lo abbiamo dimenticato.

Ma ha senso, nell’epoca fluida e globale, appellarsi alle identità personali e comunitarie, politiche e culturali? Le identità non sono reperti arcaici, inerti e retorici o, come rozzamente dice qualcuno, cazzate e baggianate? L’identità è un principio fondamentale in filosofia: è di derivazione presocratica ma Aristotele fonderà la logica occidentale sul principio d’identità.

Quella logica su cui ancora ci basiamo per capire e distinguere. Ma è anche un concetto usurato nella pratica se ne consideriamo l’uso e l’abuso per rassicurare le proprie pigrizie, non confrontarsi col mondo, chiudersi nel proprio recinto. Personalmente preferisco riferirmi a un principio più fluido e vitale che è la tradizione, dove la continuità implica il mutamento, il passaggio generazionale di padre in figlio, e dove il senso della trasmissione non riguarda solo il passato ma anche il futuro. Diciamo che l’identità sta alla tradizione come la montagna sta al mare. O, con una formulazione più filosofica, l’identità attiene all’Essere, la tradizione è l’essere in divenire. Comunque riconoscere l’identità è riconoscere in ogni persona e comunità non solo i diritti individuali ma un volto, un’anima e una storia, rispettando nell’identità la sua dignità.

Un’epoca labile e mutante come la nostra, segnata dalla velocità e dalla rapida deperibilità di tutto, principi, legami e consumi, ha bisogno per contrappeso di punti fermi, di fedeltà che sfidano la precarietà e il volgere delle mode. Mai come oggi abbiamo bisogno di riscoprire la gioia delle cose durevoli. È questo, in fondo, il principio che regge il pensiero conservatore e che qualcuno lo banalizzi e lo ridicolizzi mortifica la sua intelligenza e il suo spirito liberale ma non scalfisce la grandezza e il valore di quei principi. È così difficile accettare che ci sia un pensiero conservatore imperniato sull’identità così come c’è un pensiero progressista fondato sull’emancipazione? La Tradizione è un bisogno fondamentale dell’animo umano, almeno quanto lo è il movimento. All’uomo si richiede duttilità e costanza, e non può rinunciare a uno dei due o applicarle all’inverso. Ogni società necessita di assetti stabili e piani mutevoli.

Su queste premesse va fondato il discorso sulle identità politiche. Nessuno può ragionevolmente pensare di imbalsamare destra e sinistra – e magari anche il liberalismo, che non è un’essenza eterna ma una categoria storica come le altre. E nessuno può pensare di fondare oggi un’identità politica sul fascismo o sul comunismo. Sono il passato, fanno parte della memoria. Destra e sinistra si usano solo per capirsi all’ingrosso ma sono categorie residuali. La politica che non ha contatti con la storia e la tradizione, con l’etica e i valori, si riduce a quella cosa miserabile che è sotto i nostri occhi. Se non è animata da passione civile e ideale si riduce a servitù e meschinità, corruzione e affarismo.

La politica ha due compiti fondamentali. Uno è governare un Paese, guidarlo e amministrarlo, affrontare i problemi pratici, decidere. Ma c’è pure un altro compito che non è ridicolo o superato, bensì essenziale: la politica è il luogo in cui le nostre solitudini, le nostre individualità convergono in uno spazio pubblico e in scelte condivise. Nella politica si esprimono e si rappresentano i valori pubblici, le visioni comuni e si fonda la concittadinanza. Intendiamoci, la politica non è l’unico spazio pubblico che esprime valori condivisi, ci sono altri ambiti, altre comunità. E poi, accanto allo spazio pubblico, c’è la sfera privata che riguarda la nostra intimità e le nostre scelte individuali. La politica è il luogo di sintesi in cui masse di individui si sentono popolo, partecipano alla vita pubblica, sentono di appartenere a una polis, pur senza escludere le differenze. Tutto questo non nasce coi regimi dispotici o con le ideologie totalitarie, come pensano i cronisti di corte vedute; nasce con la politica, anzi con il pensiero, nasce con Platone e Aristotele e poi continua nei secoli. Anzi, di più: quel mondo comune è l’essenza della politica e la base di ogni civiltà.

In quella chiave assume significato il richiamo politico alle identità. Identità aperte e non chiuse, mobili e non fisse, identità che si rispettino nelle loro differenze e non pretendano d’imporsi una sulle altre. La più grande rivoluzione, benefica e incruenta del Novecento, fu fatta nel nome dell’identità, della sovranità e della tradizione: dico quella di Gandhi. Da cui non scaturì un ritorno al passato ma una modernizzazione armoniosa dell’India. L’identità francese fu il perno della svolta di De Gaulle e anche la liberale Thatcher compensò il suo liberismo economico con la difesa conservatrice della tradizione e dell’identità inglese. E la riunificazione delle due Germanie non fu fondata sul desiderio di ricucire la ferita di un’identità divisa forzosamente in due?

Che le identità siano preziose e non sterili o nocive lo dimostra a contrario la loro assenza nella nostra politica. Quando non ci sono identità da confrontare, quando non c’è una cultura civica e una tradizione alle spalle, quando non c’è una civiltà come terreno condiviso, inclusa la civiltà delle buone maniere, nasce quello schifo di politica e antipolitica da cui tutti stiamo fuggendo. Le differenze non sono più fondate sui contenuti, sulle diverse sensibilità, sulle idee o sui temi concreti della vita; ma su livori, personalismi, banalità e malaffare. Preferisco dividermi sullo ius soli piuttosto che su Ruby; preferisco una politica che si differenzi sui contenuti politici e non sui contenuti delle intercettazioni telefoniche. E poi non veniteci a raccontare che la tanto invocata rivoluzione liberale è andata a puttane in Italia a causa di quattro gatti che dicevano di tenere alle identità… Suvvia, tornate alla realtà.

Certo, al tema delle identità un liberale è meno interessato e io lo capisco, lo rispetto e non pretendo che si adegui a questa visione. Per un liberale contano di più gli individui, i contratti, i mercati. In politica so distinguere tra la parte e il tutto, so che ci sono culture, e soprattutto inculture, diverse, anche nel centro destra. Nessuna reductio ad unum. Chiedo attenzione alle identità, soprattutto da chi ha fondato la sua ragione politica e il suo consenso su quei temi, ma non per questo irrido e disprezzo chi è refrattario alle identità. Segua la sua strada, che non è la mia, ma non pretenda di ridurre le nostre diversità al suo modo di pensare, ritenendo che sia l’unico moderno, universale, indiscutibile. Alla fine, questo differenzia chi rispetta la libertà da chi dice di essere un liberale.


Un commento alle dimissioni del Papa sua Santità Benedetto XVI

L’annuncio delle dimissioni forzate del Papa ci hanno colto di sorpresa come un fulmine a ciel sereno, nessuno di noi poteva prevedere una simile fine per questo pontificato che tanto bene aveva fatto alla Chiesa Cattolica. In questo momento, sopraffatti dall’emozione di vedere Benedetto XVI lasciare il soglio pontificio, nonostante abbiamo tanti interrogativi su cosa realmente stia accadendo e mettendo in relazione ciò che è già accaduto un anno fà esatto secondo quanto riportato dal Fatto Quotidiano sulla morte del Papa, vedi l’articolo di Marco Lillo del 10 febbraio 2012 (http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/10/complotto-di-morte-benedetto-xvi/190221/), ci asteniamo dal fare considerazioni non corroborate da fredda ragione, nella speranza che sia ancora lo Spirito Santo a guidare la barca di Pietro, la Chiesa, verso lidi più sicuri degli attuali.

Nota di Tommaso Romano sulle libertà strappate ai popoli

E’ passata in questi giorni e per più ambiti associativi la norma “europea” che riduce drasticamente a cinque componenti i componenti i consigli di amministrazione di enti e fondazioni che ricevono finanziamenti pubblici, avallato da una circolare regionale siciliana. Anche in questo caso si fa carta straccia dell’Autonomia regionale e delle sue prerogative che quantomeno, dovrebbero almeno essere recepite, perché una Regione a Statuto Speciale non è affatto equiparabile ad una Regione Autonoma. La realtà è invece ancora più drammatica di un tratto di penna. Si vuole imporre a forza di norme e circolari, l’azzeramento della democrazia interna, le libere elezioni con liste dal basso degli organismi direttivi, l’instaurazione di oligarchie “illuminate” e che si autotutelano e si autoassolvono, di contro ad ogni libertà e “anomalia” che proviene dal basso. Non basta che ci si indigni, bisogna imporre trasparenza e certezze di autentica democrazia reale, per evitare le designazioni “dall’alto” che inficiando le libertà vere, come ammoniva Platone, si trasformano spesso in tirannide. Il Partito Tradizional Popolare si riserva di agire, anche in giustizia, contro una tale usurpazione nella logica perversa del dirigismo elitario che tende a controllare persino istituzioni secolari.

Tommaso Romano

Adesione del Partito Tradizional Popolare al No Monti Day

manifesto-del-27-10-12-originale_modter1.jpgIl Partito Tradizional Popolare vista la pervicacia con cui questo governo di oligarchi, di cui il Ministro Profumo è un autorevole esponente, persegue l’attacco all’istituzione scolastica e all’occupazione intellettuale attraverso l’aumento dell’orario di servizio dei docenti e il blocco dei contratti, ritenendo tali provvedimenti ingiusti e miserevoli ha deciso di aderire alla manifestazione organizzata dai Cobas “No Monti Day” del 27 ottobre.

Il provvedimento in esame in Parlamento produrrà, solo il licenziamento di 100.000 insegnanti delle superiori: in prima battuta saranno i precari ad essere colpiti, subito dopo toccherà ai soprannumerari di ruolo.

Tutto ciò testimonia cosa realmente vogliono Profumo e Monti per la scuola italiana: depressione e dequalificazione professionale, altro che scuola dei sogni qui ci saranno solo incubi.

Adesso aspettiamo al varco che le forze politiche dichiaratesi apertamente contrarie, prima fra tutte il PD, cancellino in Parlamento questa norma odiosa e spregevole.

La fusione di Tommaso Romano

Ogni secolo si è entusiasmato di un’ebbrezza, ed è stato dominato da un principio. Fuvvi il secolo dell’oriafiamma e delle chiavi; – quello della dialettica e delle crociate;-fuvvi quello della cavalleria e della propaganda religiosa e sociale. Ora il secolo nostro tutti li rinnega, ed ha sostituito il principio delle unità nazionali. Più non vuole essere piccolo nessuno: tutti in serietà s’immaginano che grandi possano diventare;-nè misurano dalla qualità delle idee la grandezza, ma dal numero elevato che si conta e dal vasto spazio che possa occupare!

Iniziatrice di questo pensamento , che ora percorre il cammino, mondiale, mostrossi l’italica contrada. E quivi, volendosi ad ogni costo la nazione una ed indivisa, stimossi possibile e sicuro il cangiare faccia a tutto in un momento, e il fondere e rifondere ogni cosa onde unificarla prestamente. Questo progetto che è facile in astratto, per eseguirsi agevolmente aveva d’uopo che si stendesse un velo sul passato, e che si popolasse di nuovi Mirmidoni la terra. Era quindi avversato da coloro che pensando peoprio all’ opposto, credevano col segretario fiorentino (l), che per ridurre a loro bontà i tralignati ordini civili, il meglio sia ritrasportali alle condizioni dei loro stabilimenti primitivi.

Divenuto il benessere materiale l’unico oggetto di ogni bramosia: e il movente delle agitazioni popolari, la folla, la quale più facilmente comprende gl’interessi che le teoriche ed i ragionamenti; reputava cavalieri della Mancia quei che ricusando di tacere osteggiavano la nazionalità desiderata. E stimava che la completa fusione dovesse recare quei vantaggi, che sono promessi e magnificati a piena gola.

Però fra gli ostacoli più duri formava insormontabile barriera alla fusione italiana l’invincibile fermezza del papato. Questo non si poteva battere coll’armi, ma si doveva scemare d’importanza, e vincere colla opinione, secondo aveva detto il conte di Cavour. E bene se ‘l sapeva il terzo Bonaparte, che mantenendo in Roma le sue truppe, non permetteva ad altri intervenire. a spuntare le armi dei cattolici reverenti il vicario di Cristo, s’insinuavano dapprima massime discrete di conciliazione e di rispetto, di convenienza e di sistema; e come libera Chiesa si volesse un istato libero ancor esso. Poi queste pratiche rese infruttuosa, passando oltre, si misero in campo tutte le magagne che sono usi ad operare gli eterodossi di ogni tempo.-E non rispettandosi la fede, che fino rispettarono e Guelfi e Ghibellini (2), si bandì la propaganda protestante, lanciandosi dagli agenti del pensiero gli appelli alla libertà e alla ragione, come una sfida e come una minaccia (3). Riversatici dall’Italia del nord, si sparsero in tutta la Sicilia diversi ministri riformati; e un Appia che aveva in Palermo tenuto prima private conferenze, tuttochè uscitone scornato perchè valorosamente combattuto (4), ora apriva pubblica scuola di falso insegnamento. Non ei si lusingava di fare degli adepti in paese ove a tutti, se non altro riesce comodo di essere cattolici, senza occuparsi della dottrina della Chiesa, nè delle pratiche di essa. Ma si stimava politica opportuna il profittare del mezzo che si offriva a mettere in discredito la fede, in piena derisione i sacramenti, in disprezzo i monaci ed i preti, e in odio completo il papa sopra tutti, cui i giornali non si stancavano di chiamare peste e cancro della penisola e dell’orbe! Timidamente i vescovi rimostravano (5), spaventati all’idea solo d’affrontare l’ira di un partito; e il terzo ed ultimo luogotenente generale Ignazio Genova di Pettinengo non si curava dei rcvlami, occupandosi di pranzi, di trattenimenti e di riviste (6); nè stimava importante altra cosa che i cannoni. Sicchè, mal tollerando lo scandolo e l’insulto alla religione dello Stato, taluni dei giovani più arditi scacciarono di sede (7) in via di fatto il ministro di un culto, che secondo lo statuto non era che soltanto tollerato, e che non doveva ridursi sovversivo.

L’altro gran passo cardinale della desiderata fusione era la concorrenza commerciale illimitata con tutta quanta estendesi l’italia.

Questa pur troppo logica e prima conseguenza riducevasi flagello, perchè privava tantosto del travaglio di migliaia di braccia d’operai, che non trovando d’occuparsi piombarono nella miseria estrema. La scienza messasi al servizio del mae generando la frode, il ciarlatanismo ed il furto (8), divenne eccitazione disastrosa per la industria e nocque non poco alla morale.

Irritati gli economisti del secolo passato contro gli antichi impedimenti che compresso avevano lo slancio industriale e dato luogo spesso al monopolio parziale per cercarvi rimedio avevano soppresso corporazioni, maestranze e consolati, e sostituito l’assoluta libertà di commercio:-sistema che fu senza contraddizione professato. E Adolfo Thiers, fu gridato ch’egli non fosse liberale, ma autocritico e socialista. I dottrinarii riguardano da un solo punto di vista la concorrenza illimitata, ch’è il punto degli utili suoi effetti : essi la considerano come forza destinata a eccitare l’emulazione ea stimolare l’attività dei travagliatori e l’estro dell’invenzione. Con siffatto mezzo abbandonarono senza alcun controllo i destini dell’industria e le sorgenti della ricchezza dell’avvenire, alle ispirazione e all’interesse individuale e chiusero tante fonti novelle di fecondità mondiale. Onde moltiplicaronsi e perfezioraronsi i prodotti a gran profitto dei consumatori insieme e dei producitori. Nè tardò la concorrenza a produrre il basso prezzo: ma l’industriale, libero nell’adottare qualunque mezzo, si è trovato inevitabilmente a fronte della frode sedotto coll’esca del guadagno o spaventato col timor della ruina.-Giacchè non altre che Dio vede l’assoluto, e noi non possiamo vederlo che da un punto, e mai semprte per mezzo d’un sistema (9).

Ciò fatto non rimaneva al Pettinengo per completare il suo mandato, che celebrare le feste, che vessero a tutti fatto fede che ogni autonomia fosse terminata,-e proclamare la fusione. E le feste furono celebrate (10) coll’inaugurarsi il bustyo rappresentante Garibaldi, e col decorare di medaglie i promotori della rivolta del quarantotto e del sessanta (11).

Indi a che sene partiva Pettinengo, consegnando al prefetto Luigi Torelli (12), che quivi da Bergamo veniva, quella che era stata chiamata con sussiego fino dal empo dei Normanni prima sede, corona del re, e capitale dell’intero regno. E che ora compiendosi il fato di Sicilia si diceva centro d’una delle parti trasfuse nella futura unità nazionale.

 

E provincia si noma e si degrada (13);

 

Perchè provvisoriamente provincia diventa del Piemonte, ossia della già Gallia subalpina (14), ove con governo e corte alla francese, si osservano costumi e credenze italiane (15); nulla ostante i conquistatori che sempre la minacciano alle porte, e le frazioni che covanle nel seno (16). E a cui la storia però ci ricorda (17) cha han recato fortuna e ingrandimento gli stessi avvenimenti, i quali hann precipitato gli altri alla ruina.

 

(1) MACHIAVELLI, Discorso su le dec. di T. Livio.

 

(2) TOMMASEO, Pensieri sulla storia di Firenze, sta nell’Archivio storico italiano, N. S. tom. XIII, p. 2, pag. 7, n. 23.

 

(3) GUIOL, De L’incredulitè contemporaine et de la foi religieuse-Introduction, pag. V

 

(4).Dal canonico Turano.

 

(5) v. La Lettera enciclica dell’arcivescovo di Palermo del 6 maggio 1861.

 

(6) v. Campana della Gancia, n. 189.

 

(7) La sera del 3 dicembre 1861.

 

(8) Revue de l’architecture, tom. III, an. 1842.

 

(9) Balbo, meditazioni storiche, medit. XIII, pag. 368.

 

(10) A 12 gennaro.

 

(11) v. Nella solenne inaugurazione delle medaglie commemorative del 1848 e 1860. Parole pronunciate dal maggiore generale Giacinto Carini presidente delle due commissioni, e da S.E. il generale di Pettinengo luogotenente del re.-palermo, stamperia G. B. Losnaider, 1862.

 

(12) A 2 febbraio 1862.

 

(13) Borghi.

 

(14) Il Piemonte secondo Plinio, Gallia subalpina.

 

(15) Cantù, Storia di cento anni vol. I, pag. 460.

 

(16) Albert De Broglie, la souvrainetè pontificale et la libertè (1861). pag. 42

 

(17) Ranalli, le istorie italiane, vol. I, lib. IV, pag. 188.

 

(18)

 

 

 

 

 

Celebrazione Quarantennale Thule‏

anniversario-thule-p.pngCari amici, siamo lieti di invitarvi al Quarantennale Thule che si celebrerà Giovedi 24 Novembre ore 17:00, nella Sala Martorana di Palazzo Comitini (Via Maqueda 100, Palermo), gentilmente concessa, con il Patrocinio Morale della Presidenza della Provincia Regionale di Palermo. Per consultare l’articolo pubblicato sul Secolo d’Italia visitate www.tommasoromano.it

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