La fusione di Tommaso Romano

Ogni secolo si è entusiasmato di un’ebbrezza, ed è stato dominato da un principio. Fuvvi il secolo dell’oriafiamma e delle chiavi; – quello della dialettica e delle crociate;-fuvvi quello della cavalleria e della propaganda religiosa e sociale. Ora il secolo nostro tutti li rinnega, ed ha sostituito il principio delle unità nazionali. Più non vuole essere piccolo nessuno: tutti in serietà s’immaginano che grandi possano diventare;-nè misurano dalla qualità delle idee la grandezza, ma dal numero elevato che si conta e dal vasto spazio che possa occupare!

Iniziatrice di questo pensamento , che ora percorre il cammino, mondiale, mostrossi l’italica contrada. E quivi, volendosi ad ogni costo la nazione una ed indivisa, stimossi possibile e sicuro il cangiare faccia a tutto in un momento, e il fondere e rifondere ogni cosa onde unificarla prestamente. Questo progetto che è facile in astratto, per eseguirsi agevolmente aveva d’uopo che si stendesse un velo sul passato, e che si popolasse di nuovi Mirmidoni la terra. Era quindi avversato da coloro che pensando peoprio all’ opposto, credevano col segretario fiorentino (l), che per ridurre a loro bontà i tralignati ordini civili, il meglio sia ritrasportali alle condizioni dei loro stabilimenti primitivi.

Divenuto il benessere materiale l’unico oggetto di ogni bramosia: e il movente delle agitazioni popolari, la folla, la quale più facilmente comprende gl’interessi che le teoriche ed i ragionamenti; reputava cavalieri della Mancia quei che ricusando di tacere osteggiavano la nazionalità desiderata. E stimava che la completa fusione dovesse recare quei vantaggi, che sono promessi e magnificati a piena gola.

Però fra gli ostacoli più duri formava insormontabile barriera alla fusione italiana l’invincibile fermezza del papato. Questo non si poteva battere coll’armi, ma si doveva scemare d’importanza, e vincere colla opinione, secondo aveva detto il conte di Cavour. E bene se ‘l sapeva il terzo Bonaparte, che mantenendo in Roma le sue truppe, non permetteva ad altri intervenire. a spuntare le armi dei cattolici reverenti il vicario di Cristo, s’insinuavano dapprima massime discrete di conciliazione e di rispetto, di convenienza e di sistema; e come libera Chiesa si volesse un istato libero ancor esso. Poi queste pratiche rese infruttuosa, passando oltre, si misero in campo tutte le magagne che sono usi ad operare gli eterodossi di ogni tempo.-E non rispettandosi la fede, che fino rispettarono e Guelfi e Ghibellini (2), si bandì la propaganda protestante, lanciandosi dagli agenti del pensiero gli appelli alla libertà e alla ragione, come una sfida e come una minaccia (3). Riversatici dall’Italia del nord, si sparsero in tutta la Sicilia diversi ministri riformati; e un Appia che aveva in Palermo tenuto prima private conferenze, tuttochè uscitone scornato perchè valorosamente combattuto (4), ora apriva pubblica scuola di falso insegnamento. Non ei si lusingava di fare degli adepti in paese ove a tutti, se non altro riesce comodo di essere cattolici, senza occuparsi della dottrina della Chiesa, nè delle pratiche di essa. Ma si stimava politica opportuna il profittare del mezzo che si offriva a mettere in discredito la fede, in piena derisione i sacramenti, in disprezzo i monaci ed i preti, e in odio completo il papa sopra tutti, cui i giornali non si stancavano di chiamare peste e cancro della penisola e dell’orbe! Timidamente i vescovi rimostravano (5), spaventati all’idea solo d’affrontare l’ira di un partito; e il terzo ed ultimo luogotenente generale Ignazio Genova di Pettinengo non si curava dei rcvlami, occupandosi di pranzi, di trattenimenti e di riviste (6); nè stimava importante altra cosa che i cannoni. Sicchè, mal tollerando lo scandolo e l’insulto alla religione dello Stato, taluni dei giovani più arditi scacciarono di sede (7) in via di fatto il ministro di un culto, che secondo lo statuto non era che soltanto tollerato, e che non doveva ridursi sovversivo.

L’altro gran passo cardinale della desiderata fusione era la concorrenza commerciale illimitata con tutta quanta estendesi l’italia.

Questa pur troppo logica e prima conseguenza riducevasi flagello, perchè privava tantosto del travaglio di migliaia di braccia d’operai, che non trovando d’occuparsi piombarono nella miseria estrema. La scienza messasi al servizio del mae generando la frode, il ciarlatanismo ed il furto (8), divenne eccitazione disastrosa per la industria e nocque non poco alla morale.

Irritati gli economisti del secolo passato contro gli antichi impedimenti che compresso avevano lo slancio industriale e dato luogo spesso al monopolio parziale per cercarvi rimedio avevano soppresso corporazioni, maestranze e consolati, e sostituito l’assoluta libertà di commercio:-sistema che fu senza contraddizione professato. E Adolfo Thiers, fu gridato ch’egli non fosse liberale, ma autocritico e socialista. I dottrinarii riguardano da un solo punto di vista la concorrenza illimitata, ch’è il punto degli utili suoi effetti : essi la considerano come forza destinata a eccitare l’emulazione ea stimolare l’attività dei travagliatori e l’estro dell’invenzione. Con siffatto mezzo abbandonarono senza alcun controllo i destini dell’industria e le sorgenti della ricchezza dell’avvenire, alle ispirazione e all’interesse individuale e chiusero tante fonti novelle di fecondità mondiale. Onde moltiplicaronsi e perfezioraronsi i prodotti a gran profitto dei consumatori insieme e dei producitori. Nè tardò la concorrenza a produrre il basso prezzo: ma l’industriale, libero nell’adottare qualunque mezzo, si è trovato inevitabilmente a fronte della frode sedotto coll’esca del guadagno o spaventato col timor della ruina.-Giacchè non altre che Dio vede l’assoluto, e noi non possiamo vederlo che da un punto, e mai semprte per mezzo d’un sistema (9).

Ciò fatto non rimaneva al Pettinengo per completare il suo mandato, che celebrare le feste, che vessero a tutti fatto fede che ogni autonomia fosse terminata,-e proclamare la fusione. E le feste furono celebrate (10) coll’inaugurarsi il bustyo rappresentante Garibaldi, e col decorare di medaglie i promotori della rivolta del quarantotto e del sessanta (11).

Indi a che sene partiva Pettinengo, consegnando al prefetto Luigi Torelli (12), che quivi da Bergamo veniva, quella che era stata chiamata con sussiego fino dal empo dei Normanni prima sede, corona del re, e capitale dell’intero regno. E che ora compiendosi il fato di Sicilia si diceva centro d’una delle parti trasfuse nella futura unità nazionale.

 

E provincia si noma e si degrada (13);

 

Perchè provvisoriamente provincia diventa del Piemonte, ossia della già Gallia subalpina (14), ove con governo e corte alla francese, si osservano costumi e credenze italiane (15); nulla ostante i conquistatori che sempre la minacciano alle porte, e le frazioni che covanle nel seno (16). E a cui la storia però ci ricorda (17) cha han recato fortuna e ingrandimento gli stessi avvenimenti, i quali hann precipitato gli altri alla ruina.

 

(1) MACHIAVELLI, Discorso su le dec. di T. Livio.

 

(2) TOMMASEO, Pensieri sulla storia di Firenze, sta nell’Archivio storico italiano, N. S. tom. XIII, p. 2, pag. 7, n. 23.

 

(3) GUIOL, De L’incredulitè contemporaine et de la foi religieuse-Introduction, pag. V

 

(4).Dal canonico Turano.

 

(5) v. La Lettera enciclica dell’arcivescovo di Palermo del 6 maggio 1861.

 

(6) v. Campana della Gancia, n. 189.

 

(7) La sera del 3 dicembre 1861.

 

(8) Revue de l’architecture, tom. III, an. 1842.

 

(9) Balbo, meditazioni storiche, medit. XIII, pag. 368.

 

(10) A 12 gennaro.

 

(11) v. Nella solenne inaugurazione delle medaglie commemorative del 1848 e 1860. Parole pronunciate dal maggiore generale Giacinto Carini presidente delle due commissioni, e da S.E. il generale di Pettinengo luogotenente del re.-palermo, stamperia G. B. Losnaider, 1862.

 

(12) A 2 febbraio 1862.

 

(13) Borghi.

 

(14) Il Piemonte secondo Plinio, Gallia subalpina.

 

(15) Cantù, Storia di cento anni vol. I, pag. 460.

 

(16) Albert De Broglie, la souvrainetè pontificale et la libertè (1861). pag. 42

 

(17) Ranalli, le istorie italiane, vol. I, lib. IV, pag. 188.

 

(18)

 

 

 

 

 

La fusione di Tommaso Romanoultima modifica: 2012-08-09T18:00:00+02:00da torreecorona
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